Pesca alla bolognese

(di Flavio Cività)

Caratteristiche

Le tecniche di pesca con una “bolognese” possono essere le più varie (non sia mai detto che la pesca non sia anche fantasia!). Sarà quindi possibile svariare su più fronti: dalla pesca all’inglese (stile importato dal Regno Unito in cui è molto praticato); al ledgering (senza esagerare e tenendo conto dei limiti tecnici dei mezzi); fino allo spinning. Ma lo stile di pesca che più si adatta a questo tipo d’attrezzatura è sicuramente la tecnica “d’importazione” ovvero, per dirla breve, col galleggiante. Non tutti i tipi di galleggianti e non tutti i pesi rientrano in questo tipo di pesca: per essere precisi, occorre includere galleggianti a “penna di pavone” (e le sue numerose imitazioni in materiali artificiali) e i classici galleggianti “inglesi” (costituiti da tubetti di plastica di varia lunghezza e con varie grammature). Pescando dalle nostre parti, e menzionando le specie ittiche presenti nelle acque a noi limitrofe, ci si rende subito conto che le dimensioni delle nostre probabili prede non saranno spropositate e quindi l’attrezzatura dovrà adottare pesi e misure proporzionati: le prede più ambite e maggiormente prestanti (parlo della stazza) sono sicuramente la Spigola, il Cefalo e il Sarago ed è difficile che esemplari superiori al chilo e ½ finiscano allamati nelle nostre “trappole” (anche se non mancano segnalazioni, per mia modesta conoscenza, di spigole di più di 3 kg di stazza: ma l’ incontro con questi mostri da costa è molto raro). L’ importanza delle giuste proporzioni del “bagaglio” risiede nel fatto che, per fare un esempio concreto, una Spigola pesante 1 kg circa non sarà in grado di portare con sé un galleggiante di 8g+1 e, di conseguenza, non ci darà mai il tempo di ferrare prontamente (imboccherà l’esca ma, al peso enorme da portare sott’ acqua, risputerà il tutto con nostra estrema delusione!). Detto questo, sempre per modestia e umiltà, ma anche per non lasciare nulla al caso, devo ammettere che con un galleggiante da 50g mi è capitato di catturare una Donzella; ma devo affermare, in modo definitivo, che la pesca è uno sport probabilistico e come tale va praticato, cercando di non lasciare nulla al caso e curando la metodicità, specie quando i risultati sono buoni.


Dove praticarla
Dopo avere accennato in generale alla pesca con la bolognese, cominciamo a vedere quali possono essere i luoghi che si prestano all’utilizzo di tale tecnica. Poche ma utili regole eviteranno di farci perdere tempo e pazienza:

– cerchiamo luoghi che ci permettano di avere a poca distanza da noi delle profondità adeguate (almeno 1 e ½ – 2 metri di profondità ad un massimo di 20 metri circa di distanza da riva); questo è importante per due motivi: le prede più pregiate non stazionano né mangiano a profondità inferiori e con un galleggiante del peso di 3/4 g massimo sarà molto arduo arrivare oltre i 20/25 metri da riva, specie nelle giornate ventose
– i moli artificiali dei porti e delle insenature vicino ai centri portuali offrono un buon scenario di pesca: profondità elevata a distanza piuttosto ravvicinata e, il più delle volte, un buon riparo dalle intemperie
– le spiagge esclusivamente sabbiose sono, quasi totalmente, da escludere visto che, nella stragrande maggioranza dei casi, digradano molto lentamente ed è difficile avere la profondità che cerchiamo (in quei casi lo scenario si presta maggiormente al surf-casting o al beach-ledgering)
– validissime risultano anche le scogliere che offrono un panorama ben più ampio delle acque interne ad un’ insenatura artificiale vista la vitalità delle acque che le bagnano e la varietà di specie che le frequentano ma, anche qui, non è tutto oro quello che luccica: in caso di mare mosso o di giornata ventosa pescare in questi punti diviene un’ istigazione al suicidio e non va sottovalutata la “questione comodità”: per farla breve, valutate da voi il luogo che più si adatta alle vostre capacità e necessità!


Attrezzatura

Dopo aver illustrato grosso modo la tecnica e aver catturato l’attenzione dei più (spero), si può cominciare a scendere un po’ più nel particolare e mostrare l’attrezzatura, gli stili, i terminali che maggiormente si confanno a quella che, sempre a mio modesto parere, è la tecnica di pesca più raffinata: quant’è difficile allamare una Spigola lo sa solo chi se n’è fatte scappare tante (quantomeno all’inizio).

Canne
Per bolognese s’intende una canna telescopica, di lunghezza compresa fra i 4 e gli 8 metri (ma anche oltre) e anelli distribuiti lungo tutto lo sviluppo dell’attrezzo, che si presta ad una pesca costiera che necessiti dell’uso di galleggianti. Detto questo, la nostra scelta potrà ricadere sugli attrezzi più svariati: dalle economiche e robuste bolognesi in fibra di vetro che ci consentiranno di effettuare il giusto periodo di apprendistato, alle raffinate canne in fibra di carbonio ad alto modulo e con diverso tipo d’ intreccio. Chi è alle prime armi, o comunque non può scialacquare quel tanto che ha potrà concentrare la propria attenzione sul primo tipo di dotazione; chi invece ha già acquisito una certa esperienza e/o non ha problemi di contabilità non ha che l’imbarazzo della scelta. Le canne di lunghezza inferiore, 4/5/6 m, si adattano alla pesca più distanziata da riva e detengono doti di maneggevolezza nelle fasi di lancio; mentre le canne più lunghe, da 7m in poi, ci consentiranno una pesca “in loco”, quasi senza la necessità di effettuare lanci (quasi come con le roubaisienne). Ritengo che come primo acquisto ci si possa orientare su una bolognese di 5-6 m che è “universale”, per poi successivamente seguire la propria strada.

Mulinelli
Con i mulinelli vale lo stesso discorso fatto per l’attrezzo appena descritto: molto dipende dal nostro budget. Ci sono attrezzi di tutte le specie: dai modelli ultima generazione in alluminio/acciaio/nichel ai modelli meno di punta e più economici. All’inizio un “giocattolino” andrà bene, dopo però se ne avvertiranno tutti i limiti: dalla forma della bobina al rapporto di recupero, dai finimenti in plastica al gioco all’indietro, ecc. L’esperienza fatta in diversi anni mi induce a ritenere che un mulinello auspicabile debba avere queste caratteristiche: lungo rapporto di recupero, finimenti in metallo, gioco all’indietro pari a 0 (o quasi), dislivello della bobina di massimo 3mm, anche se, come sempre, va a gusti.

Galleggianti
Dalla pera alla penna di pavone, dagli inglesi alle bombarde, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Occorrerà solo prestare attenzione ad un paio di condizioni:
Le condizioni meteo: un mare non calmo o il vento sostenuto richiedono galleggianti che fuoriescano di poco dalla superficie marina e, in tali condizioni, sono maggiormente indicati quelli a pera e a goccia(ne perderà un po’ la sensibilità visiva e di ferrata, ma eviteremo di dover rilanciare in continuazione poiché il nostro terminale si sposta repentinamente)
La stazza presunta delle nostre prede: se non cerchiamo di pescare delle “balene”, ci converrà restare piuttosto leggeri. Un esempio: per insidiare Spigole di stazza intorno a 1 kg di peso tendo ad utilizzare penne o inglesi di peso massimo 3g+1. Questo per evitare che la Spigola, poiché incontra una resistenza troppo elevata in galleggianti di peso maggiore, risputi fuori l’esca prima ancora di darmi il tempo di ferrare.


Monofili
Qui è quasi impossibile dare indicazioni più o meno dettagliate, perché lo scelta del monofilo e del filo per terminali è condizionata da numerosi fattori come la visibilità sottomarina, le capacità visive dei pesci, la stazza delle prede che stiamo insidiando, il tipo di attrezzatura che abbiamo in dotazione. In linea di massima:
– Diametro di 0,14-0,18 in bobina (per una buona scorrevolezza del filo è meglio non superare tale limite)
– Diametro di 0,14-0,08 per i terminali (molto condizionati dalla visibilità sottomarina).
Altri accessori
– Ami: dal n° 18 gambo lungo (per i pesci che adorano gli sfarinati) fino al 10 gambo corto (per i predatori che gradiscono il “vivo”)
– Girelle: le useremo per evitare fastidiosi ingarbugliamenti, preferendo le piccole n° 16-20
– Stopper: utilissimi perchè ci consentono di variare la profondità di pesca, visto che ci consentono di allungare e riaccorciare il terminale a nostro piacimento
– Chi più ne ha più ne metta, ricordando sempre che la pesca, per quanto tranquilla, rimane sempre uno sport fatto a contatto con la natura e occorre rispettarla e calarsi il più possibile nella parte.

Prede
Questo tipo di pesca ci dà la possibilità di catturare (o almeno tentare) diverse specie ittiche, alcune delle quali piuttosto pregiate. Naturalmente sto parlando delle Mormore, dei Saraghi, dei Cefali ma, soprattutto, delle Spigole. Non mancano altre varietà (Boghe, Sugarelli, Donzelle, Aguglie, ecc.) ma, affinando la nostra tecnica e cercando di specializzare il nostro tipo di pesca, sarà possibile insidiare determinate prede e far sì che le altre specie ignorino del tutto (o quasi) le nostre lenze.


Esche e pasture

Questo è, per eccellenza, il settore in cui vale il motto “di tutto di più”! Sì, perché non sia mai detto che una micidiale pastura di nostra invenzione o la voracità delle prede non possano rendere superlativo qualcosa che, a prima vista, può sembrare mediocre. Uso questi termini perché mi è capitato spesso di usare esche ultraspecifiche e fare fiasco, mentre il mio “vicino” effettuava catture superlative col “pane del giorno prima”! Cominciamo dalle esche. Ogni preda ha il suo “piatto preferito”, sta a noi invitarla a pranzo. I predatori, pesci che cacciano, adorano sicuramente esche in movimento e visto che qui trattiamo di bolognese e non di spinning, la nostra attenzione non può che ricadere sul “vivo”, in particolare il bigattino (è la larva della “mosca carnaria” e si potrebbe definire un’esca universale vista la capacità di attirare Spigole, Saraghi, Mormore, Aguglie e tutte le minutaglie). Va innescato a gruppi di 2-3 per amo, in modo tale da usarne uno per coprire il gambo dell’amo e gli altri come segnale di richiamo, scodinzolanti in punta d’amo).
Altre esche che ben si prestano a questo tipo di pesca sono il coreano, il muriddu, l’americano, la lumaca di mare, ecc.
Ci sono poi altre specie che preferiscono gli sfarinati di grano o prodotti a base di farine di pesce (o simili): il principe di queste prede è sicuramente il Cefalo, amante delle “pastelle” a base di pan-carrè, farina di grano, sarda tritata, pasta d’acciughe e quant’altro.
Passando ora alle pasture, occorre sottolinearne l’importanza: effettuare una buona pasturazione, sia prima dell’inizio sia durante l’azione di pesca, ci consentirà di catturare l’attenzione delle prede che intendiamo insidiare. Con una fionda pasturatrice cerchiamo di far giungere manciate di bigattini (se peschiamo con questo “vivo”) sulla zona in cui intendiamo affondare il nostro terminale. Questa tecnica si adatta alla pesca di pesci predatori; con questi la pasturazione con sfarinati e simili sarebbe inutile poiché non attraggono la loro attenzione, infatti essi amano il movimento, sfidare e catturare il proprio cibo. Se, invece, insidiamo Cefali e altri pesci amanti dello “sfarinato”, sarà sufficiente gettare nella zona di pesca palle di pane bagnato e compresso o piccole palline di “pasta-esca” , oppure le pasture confezionate, reperibili in qualsiasi negozio di articoli da pesca.
Preferirei non essere ripetitivo, ma devo insister sul “di tutto di più”: la pesca lascia molto spazio all’estro personale di cui ognuno è dotato e ci consente di inventare qualcosa di nuovo, di proprio e di utile. Se ci dovesse mancare un ingrediente o il negozio delle esche fosse chiuso, sarebbe inutile scoraggiarsi e rinunciare: uniamo fantasia e coraggio (rischiamo anche di fare grossi “buchi nell’acqua”) e sforniamo qualcosa di nuovo, dei surrogati o delle alternative agli strumenti classici.

Terminali
Ora il discorso si complica e diviene assolutamente necessario studiare le abitudini delle nostre probabili prede, i luoghi di pesca, le condizioni meteorologiche, le capacità dei materiali da noi impiegati, in due parole: qui occorrono la preparazione, l’esperienza, la precisione e le conoscenze tecniche. Per i galleggianti da usare in base alle condizioni meteorologiche vi rimando alla prima parte dell’articolo, il resto mi accingo a descriverlo.

Terminale n°1
E’ sicuramente il preparato più semplice da eseguire e da utilizzare, sia per la semplicità di preparazione sia per le sue buone doti di praticità nella manovra. Procuriamoci del monofilo di diametro 0,14-0,08 mm, degli ami n° 10-14, una girella n°16-18, uno stopper (se lo si desidera, ma non è necessario), piombini spaccati da 0.40g e un galleggiante da 1g+1 a 3g+1: il tutto sarà sempre proporzionato alle condizioni meteo e al fondale. Al galleggiante leghiamo uno spezzone di monofilo della lunghezza di 1.20-1.50m, proporzionando la lunghezza alla profondità del fondale (possiamo inserire uno stopper che ci consentirà di modificare la lunghezza del terminale). All’altra estremità del filo leghiamo una girella che ci consentirà di evitare fastidiosi ingarbugliamenti e, a seconda delle capacità del galleggiante e delle condizioni ambientali, possiamo aggiungere in cima dei piombini per zavorrare il tutto (ricordiamo però che, ai fini della sensibilità dell’azione, più leggero è il tutto meglio è). Una volta sistemata la girella dovremo montare l’amo. Ce ne sono di già legati, ma spesso sono montati su un filo sproporzionato alle esigenze per cui sarà meglio provvedere da soli: prendiamo uno spezzone di monofilo del diametro adatto, di lunghezza compresa fra i 50 e gli 80cm e ad una estremità legheremo l’amo, mentre l’altra estremità sarà ancorata alla girella. Non ci resta che innescare i nostri bigattini e verificare le potenzialità del terminale costruito. Nel caso in cui avessimo problemi riguardo alla profondità di pesca, non dovremo fare altro che far scorrere il filo nello stopper e regolarne la lunghezza a nostro piacimento.

Terminale n°2
Il terminale n°2 non è altro che una variante del terminale n°1 (vi ricordo che nelle competizioni ufficiali terminali del genere sono vietati). L’inizio del procedimento è uguale a quello del terminale n°1; le differenze le troviamo nel montaggio degli ami: non ci sono grosse difficoltà a montare due ami piuttosto che uno, però un paio di accorgimenti saranno utili. Innanzi tutto, premuratevi che gli spezzoni di nylon siano di lunghezza differente almeno del 30% circa tra loro; poi, siate accorti nel legare i due spezzoni alla girella cercando di non sovrapporre i due nodi, sempre al fine di evitare ingarbugliamenti e ulteriori perdite di tempo, oltre che di pazienza.

Terminale n°3
Questo terminale si adatta maggiormente alla pesca di predatori “diffidenti” che studiano l’esca e i suoi movimenti (ad esempio le Spigole). Al galleggiante leghiamo uno spezzone di filo lungo circa 1 m e, all’altra estremità, leghiamo un reggilenza fluttuante. All’altra estremità del reggilenza leghiamo un altro spezzone di filo alla cui fine agganceremo dei piombini spaccati (proporzionati a quanto il galleggiante ci concede). Al braccetto del reggilenza legheremo una porzione di filo della lunghezza compresa fra i 50 e gli 80 cm alla cui punta sarà incorporato l’amo. Le lunghezze, come sempre, saranno dettate dalle nostre effettive esigenze di pesca; quelle espresse in questo servizio rimangono puramente indicative. Una variante leggermente più economica possiamo averla se evitiamo di utilizzare il reggilenza: il filo legato al galleggiante sarà lungo circa 2m e all’altro capo fermeremo i piombini spaccati (che hanno lo scopo di tenere ben ferma la lenza madre); al centro dello spezzone, successivamente, fisseremo il pezzo di filo su cui avremo montato l’amo (questo filo, possibilmente, dev’essere di quello non-affondante).


Azione di pesca e suggerimenti vari

Il nostro posizionamento rispetto allo specchio d’acqua che utilizziamo deve consentirci alcune movenze che risultano necessarie: innanzitutto il nostro appostamento deve consentirci una certa facilità di movimenti (non avventuriamoci su scogli che ci consentano di tenere solo la posizione di pesca: dovremo anche avere a portata di mano la nostra attrezzatura di riserva, almeno quella essenziale, salpare le prede catturate e avere la possibilità di “parcheggiarle” da qualche parte), specie per quanto riguarda i movimenti di lancio e “l’invisibilità” sullo specchio d’acqua interessato (tanto meno ci facciamo vedere dai suoi abitanti, tanto più a loro sembrerà tutto normale e quindi a beneficio della nostra battuta di pesca).
Preparare i terminali a casa, o comunque prima di recarci sul posto di pesca, ci permetterà di non perdere tempo prezioso e di non sparpagliare la nostra attrezzatura. Cerchiamo di recarci sulla postazione già “pronti per l’uso”, l’organizzazione nella pesca ha un ruolo non indifferente. Prima di cominciare con il montaggio dei nostri strumenti, provvediamo a pasturare la zona di pesca: cominceremo a stimolare l’appetito dei pesci e ad attirarli in zona. Sistemiamo la nostra dotazione e inneschiamo l’esca.
Lanciamo, cercando di giungere sul punto che ci interessa con lanci ben assestati (meno ne facciamo meglio è: eviteremo di disturbare continuamente la quiete del mondo sommerso). In caso di cattura, cerchiamo di comprendere di che stazza sia la nostra preda: se siamo al limite delle potenzialità della nostra attrezzatura non affrettiamo le cose: tentiamo di stancare la nostra cattura, per poi salparla sulla spiaggia o raccoglierla col guadino quando entra alla nostra portata.

Questo è tutto, sperando di essere stato d’aiuto, specie ai principianti ed ai novizi della tecnica. Questo tipo di pesca, soprattutto all’inizio, è fatta di Spigole non allamate e di terminali spezzati (vista la leggerezza della nostra attrezzatura e la stazza, spesso non trascurabile delle prede insidiate) ma, con l’esperienza, diviene molto coinvolgente e proficua.